SETTE ANIME
(Seven Pounds)
(2008) di Gabriele Muccino
Potrei spendere parecchie parole, e divertirmi anche molto, a crocifiggere -nel mio piccolo,ovvio- il nuovo lavoro della coppia Muccino/Smith, eppure cercherò di essere il più sintetico possibile, perchè di parole, di visibilità, un film talmente brutto non ne merita. Potreste smettere di leggere esattamente qui, visto che, lo dico subito, per la prima volta non mi farò scrupolo di sbandierare trama e finale, proprio perchè davvero, non riesco a prescinderne tanto sono imbarazzanti.
Davvero, se avete un minimo di curiosità di vedere il film, o se comunque riponete anche un minimo di fiducia sulla mia parola, potete tornare su Facebook o a chattare su Msn, o a studiare, o quello che è: Sette Anime è un film pessimo. Vi basti.
Chi invece è rimasto incuriosito da un attacco tanto crudele, continui a leggere. Si comincia. Questa è la trama del film.
Ben Thomas (in realtà, si chiama Tim, perchè ruberà l’identità del fratello) è un progettatore di razzi spaziali. Un giorno, mentre è in macchina con la moglie, si lascia distrarre da un sms e si schianta contro un pulmino con 6 persone a bordo. Nell’incidente muoiono le 6 suddette persone e ovviamente la moglie. Tim, invece, rimane illeso. Come è giusto che sia Tim è ossessionato dai sensi di colpa e progetta un piano suicida piuttosto arzigigolato: decide di trovare sette persone per cui valga la pena sacrificarsi (e, notare bene, di queste almeno 4 si vedono solo per qualche secondo in tutto il film), come se lui, che ha causato in maniera idiota la morte di 7 persone, avesse anche il diritto di scegliere -ancora- chi vive e chi no e, fingendosi un esattore delle tasse, che è in realtà il lavoro del fratello Ben,comincia a seguirle, studiarle, per venirci in contatto. A una mamma single messicana vorrà donare la casa, ad altri-anzi, a tutti gli altri- donerà varie parti del suo corpo. Al cieco centralinista darà gli occhi, al bambino malato di cancro il midollo osseo, ad un altro un pezzo di fegato, alla malata di cuore (Rosario Dawson, forse l’unica cosa salvabile del film), appunto, il cuore. Tutti miracolosamente compatibili, tutti trovati chissà come, senza alcuna competenza medica ma con il solo aiuto di un amico avvocato che riuscirà, non si sa come, a far ignorare a tutti i medici liste chilometriche di trapianti al cuore per far sì che il cuore di Tim vada proprio alla donna con cui, nel frattempo, è nata una pallosissima storia d’amore tra passeggiate e macchine da stampa di due secoli fa stile Gutenberg.
Dulcis in fundo Tim si ucciderà, facendosi mordere da una medusa velenosa che, non si sa come, è riuscito ad avere e a portarsi a spasso. Alla fine tutti si salveranno, debitori per tutta la vita di tale Tim Thomas.
Ovviamente il film non mette le carte in tavola fin da subito. Anzi Muccino prova, fallendo pateticamente, a creare un alone di mistero attorno alla vicenda, stordendo e innervosendo lo spettatore per più di un’ora e tre quarti, spettatore che nel frattempo la sua idea-corretta-se l’è ovviamente già più o meno fatta.
Il nostro Gabrielone nazionale sfodera una incapacità totale di costruire anche un minimo di coinvolgimento o tensione, riempiendo il film di dialoghi inutili, immagini da cartolina alla Mulino Bianco, lungaggini insostenibili. Il tutto per un messaggio finale che se vorrebbe esaltare il sacrificio e la redenzione in realtà esalta in maniera del tutto ambigua (e per questo, pericolosissima) egoismo,pseudo-necrofilia, l’ingiustificata mancanza di ogni forma di autorità.
L’intenzione è commuovere e magari il film, per chi ha la lacrima -veramente- facile, ci riuscirà. In realtà io vorrei ringraziare Muccino, Will Smith con la sua paralisi facciale della durata di 120 minuti e chi per loro. Perchè sì, abbiamo pianto. Ma dalle risate, ripensando alla bruttezza e alla stupidità di un film presuntuoso, noioso e moralmente agghiacciante.
Da evitare. Difficilmente il 2009, e non solo, offrirà qualcosa di peggio.